Sono qui in una terra straniera, diversa dalla mia per le stagioni: caldo d’estate, freddo d’inverno, fiorito a primavera e bagnato d’autunno.

E’ notte fonda, abbraccio questo fucile, aspettando i nemici che devo uccidere per non essere ucciso. Uomini che non conosco, che non mi hanno fatto niente, che non so da dove vengono, se hanno figli, mamma, famiglie.               

 Il mio dovere è uccidere perché io sono portatore di pace e libertà, la morte è ancora nel viso dei miei compagni che non ci sono più, come negli occhi dei nemici che ho ucciso. Non so quale sarà il mio destino. Voglio tornare a casa.   

Il mio ricordo è nelle lacrime di mia madre e di mia sorella, insieme al silenzio di mio padre. Mi manca la mia terra.        

Questo è il racconto di un soldato straniero che combatteva durante la guerra in questi meravigliosi colli, per questa nazione. Non so se questo ignoto soldato è tornato a casa, oppure riposa in uno dei cimiteri d’Italia come quello di Indicatore o di Foiano.

Oggi noi siamo  i frutti del sacrificio fatto da quel giovane soldato che, come tanti altri, combatteva fianco fianco senza conoscere la loro provenienza, razza e religione; sognavano la libertà,  sognavano un futuro migliore.

In Italia oggi ci chiamano nuovi italiani, ma siamo italiani già dal giorno in cui l’Italia si è liberata dal fascismo. Abbiamo dato la nostra disponibilità ogni volta che ci è stata richiesta, e siamo pronti a farlo anche in futuro.

Sentiamo mille critiche nei nostri confronti senza che poi nessuna parte della politica prenda una posizione chiara e risolutiva.

Non passa giorno in cui la vostra…anzi… la nostra lingua non cambi il mio modo di parlare che diventa un po’ più ricco di termini e modi di dire che identificano sempre di più la mia identità.

E poi… se dico “alò”… non posso non essere aretino!